Schermi d’amore 2006
FEMME FATALE, FEMINISTE FATALE
Convegno multimediale sulla Grande Sirena dell’immaginario erotico e sentimentale dal cinema muto ai videogames
di Silvia VincisPubblicato giovedì 30 marzo 2006 - NSC anno II n. 13
Istinto di base: non tutte ce l’hanno. Ma Catherine Tramell (Sharon Stone) non l’ha perso nemmeno alla soglia dei cinquant’anni, anzi ha raggiunto la dipendenza dal rischio.
Femme Fatale 2000: chi è oggi e cosa rappresenta la figura della perturbatrice della quiete pubblica e privata?
Spostamenti progressivi di identità: viaggio nella mitologia del corpo e soprattutto della mente del simbolo delle furiose contraddizioni del moderno desiderio amoroso. Da pericolosa psicopatica castratrice, sogno e incubo maschile, ad affascinante interprete della diversità della Nuova Donna, che cambia il proprio destino e i connotati della società. E anche l’audience della tv: come sono fatali quelle Casalinghe disperate...
Interventi di: Giampiero Mughini, Mariuccia Ciotta, Valerio Caprara, Paolo Zaccaghini, Enrico Vanzina, videointervento di Roberto D’Agostino, Elisa Grando, Danilo Gallo, Gianfranco Orsi.
Omaggi: Maddalena Sisto, tenetarici e tentate nell’arte dell’illustratrice; Rie Rasmussen, top model, attrice e regista.
Conversazione con i fatalisti
Femme Fatale. Jessica Rabbit provaci ancora. (intervento di Mariuccia Ciotta, direttrice de Il Manifesto e di Piera De Tassis, direttrice di Ciak)
La femme fatale è una donna che conosce bene il suo fascino e lo utilizza per ammaliare l’uomo, generalmente sposato e "fedele", almeno fino a quel momento, al sacro vincolo del matrimonio. Chi meglio di Marylin Monroe rappresenta questa tipologia di donna nella vita reale e nella finzione cinematografica (Quando la moglie è in vacanza, Billy Wilder, 1955): bambola sexy sì, ma anche bionda desiderosa di sposarsi l’uomo che ha sedotto (Marylin fu invece sedotta e abbandonata da John e Robert Kennedy). La femme fatale è una donna maliziosa e disinvolta, ma non nasconde mai la cattiveria e il desiderio di annientamento tipico della dark lady.
Dark Lady. Noir anni ’40.
Le dark lady sono figlie di tanta letteratura decadente, ma nel cinema appaiono in un periodo preciso e storicamente definito: sono le donne dei film noir, perverse incantatrici, capaci di trascinare nel baratro uscuro della morte e dell’oblio i loro sventurati compagni di ventura. Donne (Femmina Folle, John M. Sthal) che rappresentano l’incubo reale dei soldati americani di ritorno dalla guerra, perché hanno sottratto agli uomini i loro posti di lavoro. Durante la guerra le donne sono cambiate: si sono avvicinate al potere, l’hanno assaporato e ora, non sono così contente di doverlo rendere a mariti e fidanzati. La femminilità, quindi, è vissuta come un’arma a doppio taglio: consente di sedurre, ma poi imbriglia nella prigione della vita di coppia, in un corpo fragile e al tempo stesso forte, a cui si richiede di accogliere un figlio. Di fronte alla routine la dark lady risponde con una scelta di annullamento: il rifiuto della maternità e della sessualità controllata come la protagonista di Femmina Folle, Gene Tierney, che si getta dalle scale, rischiando anche la vita, pur di eliminare quella che sta nascendo in lei. Non si tratta comunque di una figura essenzialmente negativa bensì di uno stimolo all’evoluzione della donna, femmina e persona che comincia a scoprire il proprio corpo vedendolo con i propri occhi, soggetto e non più oggetto di sguardo.
Feministe Fatale. Il sessantotto e oltre.
Proprio da questa evoluzione della Dark Lady nasce la feministe fatale. La donna capace di sedurre, ma senza perdersi tra le braccia di un uomo; in grado di condurre il gioco, senza doversi fingere preda del classico macho pettoruto. In Sangue e Arena (di R. Mamoulian) la donna (Rita Hayworth) vince, trasformandosi addirittura in torero: è una donna intelligente, che alla richiesta della moglie di renderle il marito, da lei sedotto, non acconsente, fa di più: lo invita a discutere con lei. Non c’è più solo corpo ma anche una scintilla che brilla nel suo sguardo: è la forza dell’emancipazione, la conoscenza della propria sessualità, la capacità di domarla o di lasciarla andare. Una donna che non vuole assomigliare all’uomo, come nel femminismo degli inizi, ma che sente il bisogno di distinguersi e cerca un equilibrio con se stessa. E ancora, la donna che Hitchcock rappresenta è una persona oltre che una donna matura: è lei ad insegnare la sua disinvoltura al fidanzato ed è lei che lo salva con la sua astuzia (la splendida Grace Kelly in La finestra sul cortile e Uccelli).
B.B. (Brigitte Bardot) (Giampiero Mughini, autore di Lettera d’amore a Brigitte Bardot) “Brigitte Bardot: una donna stupenda e intelligente, un miracolo che esiste”.
Così esordisce Giampiero Mughini al Convegno, super esperto della donna più desiderata negli anni ‘60 e ‘70, tutt’ora attiva nelle sue campagne a difesa degli animali. Fuori dagli schemi come il suo solito, Mughini reagisce con noia alla proiezione di una scena de Il disprezzo di J. L. Godard, con B.B protagonista. “Che noia, un film che non dice niente e lo dice anche male”: uno dei peggiori film di Godard. Una Brigitte Bardot sempre stupenda, in un crescendo di scena che però delude il critico Mughini, abituato a sognare una Bardot senza un filo di trucco, semplice e intelligentissima, ammaliatrice ma donna indipendente. Capace di pagare lei la retta dei suoi uomini e di mandarli a quel paese senza mai chiedere un assegno di mantenimento. Una donna bellissima, ma forte, che ha deciso di lasciare il cinema quando le pareva fosse arrivato il momento. “Non si trascina come tante altre attrici italiane – ribadisce Mughini – che ormai sfiorano gli ottanta e parlano come un disco rotto dei loro amori passati: lei non ha paura di rispondere male a Chirac, di manifestare a difesa degli animali, di raccontarsi in una stupenda biografia in cui esce la donna, la persona oltre il mito. Una così si faticherà a vedere ancora”.
Donna di plastica, transgender & spot pubblicitari. (Marco Giovannini: la donna oggetto del carosello in tv)
Donna intinta nell’oro per la pubblicità di un profumo; femmina pantera che si lecca le dita come farebbe un animale domestico; donna impossibile da possedere, paragonata al liquore venduto nel peggior bar latino; uomo e donna travestiti da donna e uomo. Un bel montaggio in clip quello di Giovannini, supportato da una colonna sonora in crescendo, che lascia pochi dubbi sull’immagine della donna che esce: Mughini l’ha espresso apertamente ed è strano che la parola, tradotta qui da me in inglese (Bitch) sia anche il nome di una rivista americana femminista.
Donne icone nella musica. Annie Lenox, Mia Martini, Ella Fitzgerard ma per favore non Courtney Love. (Paolo Zaccagnini, critico musicale)
Intanto subito una chicca: Paolo Zaccagnini è stato interprete di due film storici di Nanni Moretti: Io sono un autarchico (1976) e Ecce Bombo (1978). Uomo barbuto, grande conoscitore della musica, (anche contemporanea) tipico romano de’ Roma, parla a braccio delle donne che con la musica si sono fatte male e solo in rari casi sono riuscite a risalire la china. Ma su una cosa è certo: “Courtney Love non c’entra nulla con questo discorso: una che invoglia il marito a suicidarsi è tutto fuorchè una leggenda… e non fatemi dire nient’altro”. In Italia sicuramente non può che parlare di Mia Martini e soccombere di fronte a quel male di vivere che ricade spesso negli artisti che fanno musica. “Un divo di Hollywood che cade in basso si può anche rialzare, ma il mondo della musica è implacabile con chi sbaglia: se si è fragili e non si regge, tanti arrivano a farla finita. Mia Martini ne è un esempio, altre bravissime cantanti americane sono morte per lo spettro della droga, un palliativo alle sfortune della loro vita, al ritmo troppo veloce del successo”. “Che nessuno citi Yoko Ono: è uno dei rarissimi casi nella storia in cui una donna brutta, senza alcun tipo di doti artistiche riesce, per un colpo di “fortuna”… a ereditare una fortuna: tutto qua”. Annie Lenox resta ad oggi la donna che meglio rappresenta l’ideale di icona del rock, capace di mutare e restare sempre una donna forte, capace di esprimere valori forti.
Omaggio a Maddalena Sisto. Via col vento.
Dal prossimo anno verrà istituito un premio per le donne che meglio rappresentano nell’arte il concetto di Femme Fatale e Feministe Fatale. Il riconoscimento verrà intitolato a Maddalena Sisto, giornalista divenuta illustratrice per caso con gli schizzi delle sfilate che faceva sul suo notes. La raccolta dei suoi lavori ha dato vita ad un cortometraggio d’animazione, presentato per la prima volta proprio al Convegno. Maddalena Sisto, morta prematuramente a causa di una malattia, è stata capace di rivoluzionare il mondo del disegno, stuzzicando la fantasia e lavorando con la tridimensionalità. La sua donna moderna è una donna impeccabilmente vestita a fianco del suo cagnolino, ma basta un colpo di vento per spazzare via la maschera e mostrarla come mamma l’ha fatta. Una riscoperta, che forse sarebbe bene far conoscere in Italia
Vogliamo che la legge arrivi in luoghi tenebrosi come Piazza-Italy,la chat italiana di Aol, dove si commettono violazioni vergognose dei dirtti civili.
domenica 21 dicembre 2008
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