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giovedì 15 ottobre 2009

FRA I PIU GRANDI ABBIAMO UNA POETESSA

SAFFO
(GRC)
« Οἱ μὲν ἰππήων στρότον οἰ δὲ πέσδων οἰ δὲ νάων φαῖσ' ἐπ[ὶ] γᾶν μέλαι[ν]αν ἔ]μμεναι κάλλιστον, ἔγω δὲ κῆν' ὄτ- τω τις ἔραται. »
(IT)
« Dicono che sopra la terra nera la cosa più bella sia una fila di cavalieri, o di opliti, o di navi. io dico: quello che s'ama »
([1] )

Saffo (Σαπφώ, Sapphó), è stata una poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo a.C., figlia di Scamandro o Scamandronimo e di Cleide, nacque a Efeso, nell'isola di Lesbo, attorno al 640 a.C. ma trascorse la maggior parte della propria vita a Mitilene, la città più importante dell'isola.

Non si conoscono né la data della sua morte (anche se da un suo componimento[2] si può desumere che abbia raggiunto la tarda età), né le circostanze in cui avvenne, seppure la leggenda vuole che si sia gettata da un faro sull'isola di Lefkada, vicino la spiaggia di Porto Katsiki, per l'amore non corrisposto verso il giovane battelliere Faone.

Vita

Di famiglia aristocratica, per motivi politici da bambina seguì la famiglia in esilio in Sicilia, probabilmente a Siracusa, per una decina d'anni, ma poi ritornò a Mitilene dove curò l'educazione di gruppi di giovani fanciulle

« [...] incentrata sui valori che la società aristocratica richiedeva a una donna: l'amore, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto, l'eleganza raffinata dell'atteggiamento. »
(G. Guidorizzi, op. cit.[3].)

Ebbe tre fratelli, Larico, coppiere nel pritaneo di Mitilene, Erigio, di cui si conosce solo il nome, e Carasso, un mercante, che durante una missione in Egitto si innamorò di una cortigiana, Dorica, rovinando economicamente la sua famiglia. In alcuni versi Saffo prega affinché sia garantito un ritorno sicuro al fratello per poter essere riammesso in famiglia e lancia una maledizione alla giovane donna.

(GRC)
« Κύπρι καὶ] Νηρήιδες ἀβλάβη[ν μοι τὸν κασί]γνητον δ[ό]τε τυίδ' ἴκεσθα[ι κὤσσα ]οι θύύμωι κε θέληι γένεσθαι [πάντα τε]λέσθην,[4] [...] [Κύ]πρι, κα[ὶ σ]ὲ πι[κροτάτ]αν ἐπευρ[οι]. [μὴ] δὲ καυχάσαιτο τόδ' ἐννέ[ποισα] [Δ]ωρίχα, τὸ δεύ[τ]ερον ὠς πόθε[ννον] [εἰς] ἔρον ἦλθε.[5] »
(IT)
« O Cipride, o Nereidi, sano e salvo fate che mi ritorni il mio fratello, e quante cose nel suo cuore brama, si adempian tutte, [...] Cipride, molto amara ella ti trovi! Fa che Dorica non si vanti mai d'aver colto l'amor desiderato un'altra volta. »
(G. Perrotta, Lirici greci, op. cit. in bibliografia)

Secondo leggende legate ad alcuni versi romantici del pretendente, il poeta lirico Alceo fu ritenuto il suo amante; ma gli stessi poeti antichi smentirono questa ipotesi, ritenendo che i versi in questione erano da interpretare come un'idealizzazione non autobiografica.

La Suda dice che sposò un certo Cercila di Andros, nota evidentemente falsa e tratta dai commediografi ("cercila" è un gioco su "kerkos", "pene" e il fatto di venire da Andros comprova il gioco), da cui ebbe una figlia di nome Cleide a cui dedicò alcuni splendidi e teneri versi.

Alcuni versi proverebbero che la poetessa raggiunse un'età avanzata ma la sicurezza non c'è poiché era usanza comune tra i poeti lirici di utilizzare la prima persona in modo convenzionale.

Gli antichi furono concordi nell'ammirare la sua maestria. Solone, suo contemporaneo, dopo aver ascoltato in vecchiaia un carme della poetessa, disse che a quel punto desiderava due sole cose: impararlo a memoria e morire. Strabone, a distanza di secoli, la definì «θαυμαστόν τι χρήμα»: "un essere meraviglioso".

Saffo, Charles Mengin (1877)

Invece il poeta Anacreonte, vissuto una generazione dopo Saffo (metà del VI secolo a.C.), accreditò la tesi che la poetessa nutrisse per le fanciulle che educava alla musica, alla danza e alla poesia un amore omosessuale; tale tesi è sostenuta anche dai numerosi frammenti poetici ritrovati, che parlano dell'amore rivolto esclusivamente a fanciulle.

Nel corso dei secoli scrittori e uomini di cultura rifiutarono di snaturare la grandezza poetica di Saffo con queste scandalose ipotesi (per la mentalità moralistica e conservatrice degli uomini di cultura del passato), perciò intesero che questo amore fosse solo affetto puro esasperato fino all'iperbole per fini poetici. Alla luce del pensiero moderno, si indicano tranquillamente questi amori omosessuali come normale percorso educativo che le adolescenti intraprendevano quando facevano parte del tiaso. Il tiaso di Lesbo vedeva come maestro proprio Saffo e alla luce di una formazione culturale completa (artistica, musicale e sociale) in Grecia era contemplata di norma anche l'iniziazione all'amore omosessuale che non pregiudicava ma che anzi completava il futuro amore eterosessuale. Questo suo ruolo educativo, frainteso ed isolato, ha generato i termini moderni "lesbico" e "saffico" per l'omosessualità femminile.

Le opere

Saffo mentre legge una sua poesia. Vaso attico, 440-430 a.C.

La biblioteca di Alessandria possedeva anticamente su Saffo nove libri: solo il primo, versi in strofa saffica, era composto da 1320 versi. Della copiosa produzione letteraria di Saffo rimangono pochi frammenti di una certa ampiezza e numerosi di piccola mole e stentata comprensione. Furono proprio gli Alessandrini a mettere insieme i componimenti della poetessa di Lesbo e a decidere di porre per prima nella raccolta la preghiera che la donna rivolge ad Afrodite, ritenendola pragmatica. In particolar modo i testi della poetessa furono curati da Dionigi di Alicarnasso. Tra l'altro è attestato che Saffo abbia ripreso lo stilema degli inni omerici, invocazioni agli dei che si svolgevano prima delle gare tra aedi e rapsodi nelle corti o per le strade, dove questi chiedevano assistenza nell'elaborazione di versi. A differenza della poetessa, questi però non avevano alcun tipo di confidenza con le divinità. Precisamente nell'Ode ad Afrodite è messa in evidenza dall'autrice un rapporto molto vicino ed intimo con la dea, tanto che alla fine dell'ode la poetessa ha voluto apporre una sorta di sigillo, chiamato sfreghìs, che consiste nell'apporre nel testo il proprio nome per evitare una "contaminatio" successiva.

Tipologia lirica

Si possono sostanzialmente distinguere due tipi di liriche quella corale, caratterizzata da un rapporto professionale tra il poeta e un committente, normalmente celebrativa e quella intimista in cui il poeta esprime uno stato d'animo che riflette

« assilli e sconvolgimenti che partono da un io autobiografico. »
(U. Albini, op. cit. in bibliografia)
Frammento su papiro

I canti corali composti prevalentemente per rispondere a esigenze di ufficialità pubblica possono assumere anche il carattere di epitalami. Il tema di questi ultimi è la cerimonia nuziale e la forma in cui sono composti prevede un racconto in prima persona impostato in forma dialogante. Sono presenti inoltre immagini semplici ed evocative, spesso ilari e malinconiche.

La lirica di Saffo, assieme a quella di Alceo e di Anacreonte, rientra nella melica monodica, dove la poetessa esprime le proprie emozioni a divinità o ad altri esseri umani.

Saffo offre un'immagine semplice ma appassionata dei propri sentimenti, equilibrata ma coinvolgente, dove l'amore ha un ruolo da protagonista con tutta una serie di riflessioni che oggi chiameremmo psicologiche e in cui il ricordo e l'analisi delle emozioni passate ne suscita nuove altrettanto forti.

Più di ogni altro poeta prima di lei, Saffo indaga sulle emozioni provate da una persona innamorata: non a caso queste introspezioni vedono come autrice una donna, perché non potendo dedicarsi alla vita politica, esse possono concentrarsi in poche mansioni e quindi l'amore riempe con maggior prepotenza il loro animo.

Saffo scrisse in dialetto eolico di Lesbo. La sua poesia, nitida ed elegante, si espresse in diverse forme metriche tutte tipiche della lirica monodica, fra cui un nuovo modello di strofe, dette "saffiche", composte di quattro versi ciascuna: i primi tre endecasillabi e il quarto di cinque sillabe. Tale forma metrica fu ripresa da molti poeti, fino alla "metrica barbara" di Carducci. Una curiosità consiste nel fatto che la strofa non è chiamata saffica perché fu la poetessa di Lesbo ad inventarla; la nascita è da attribuire ad Alceo ma la denominazione deriva dal fatto che fu la poetessa ad utilizzarla maggiormente, ispirando anche Catullo nel carme 51.

L'inno ad Afrodite

Dipinto pompeiano detto Saffo

Nell'inno ad Afrodite, forse una delle più belle e delicate liriche pervenuteci, Saffo esprime la pena e l'ansia per l'amore non sempre corrisposto e il penoso tormento che questo le dà.

Questa lirica assume la forma di una preghiera in cui, con il richiamo di un incontro precedente, cerca di coinvolgere la dea in suo favore ed ella pronta interviene in maniera diretta con la promessa che Saffo si aspetta.

In questa poesia la forza emotiva si coniuga con l'eleganza e la dolcezza delle espressioni che raggiungono l'acme nella sesta strofa in cui la parola della dea diventa impegno, conciso e perentorio.

Pindemonte nella sua mirabile traduzione è riuscito a cogliere e a rappresentare lo stato d'animo che la poetessa ha trasfuso nell'ode, mantenendo al contempo la potenza della passione e la soavità del tono poetico.

(GRC)
« ποικιλόθρον' ἀθανάτ' ΑΦρόδιτα, παῖ Δίος δολόπλοκε, λίσσομαί σε, μή μ' ἄσαισι μηδ' ὀνίαισι δάμνα, πότνια, θῦμον, ἀλλὰ τυίδ' ἔλθ', αἴ ποτα κἀτέρωτα τὰς ἔμας αὔδας ἀίοισα πήλοι ἔκλυες, πάτρος δὲ δόμον λίποισα χρύσιον ἦλθες ἄρμ' ὐπασδεύξαισα, κάλοι δέ σ' ἆγον ὤκεες στροῦθοι περὶ γᾶς μελαίνας πύπνα δίννεντες πτέρ' ἀπ' ὠράνωἴθε- ρος διὰ μέσσω. αἶψα δ' ἐξίκοντο, σὺ δ', ὦ μάκαιρα, μειδιαίσαισ' ἀθανάτωι προσώπωι ἤρε' ὄττι δηὖτε πέπονθα κὤττι δηὖτε κάλημμι κὤττι μοι μάλιστα θέλω γένεσθαι μαινόλαι θύμωι. τίνα δηὖτε πείθω ἄψ σ' ἄγην ἐς σὰν φιλότατα;τίς σ', ὦ Ψάπφ', ἀδικήει; καὶ γὰρ αἰ φεύγει, ταχέως διώξει, αἰ δὲ δῶρα μὴ δέκετ',ἀλλὰ δώσει, αἰ δὲ μὴ φίλει, ταχέως φιλήσει κωὐκ ἐθέλοισα. ἔλθε μοι καὶ νῦν, χαλέπαν δὲ λῦσον ἐκ μερίμναν, ὄσσα δέ μοι τέλεσσαι θῦμος ἰμέρρει, τέλεσον,σὺ δ' αὔτα σύμμαχος ἔσσο. »
(IT)
« Venere eterna, in variopinto soglio, Di Giove fìglia, artefice d'inganni, O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio, Di noie e affanni. E traggi or quà, se mai pietosa un giorno, Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato, Dal paterno venisti almo soggiorno, Al cocchio aurato Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli Te guidavano intorno al fosco suolo Battendo i vanni spesseggianti, snelli Tra l'aria e il polo, Ma giunser ratti: tu di riso ornata Poi la faccia immortal, qual soffra assalto Di guai mi chiedi, e perché te, beata, Chiami io dall'alto. Qual cosa io voglio più che fatta sia Al forsennato mio core, qual caggìa Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia Saffo, ti oltraggia? S'ei fugge, ben ti seguirà tra poco, Doni farà, s'egli or ricusa i tuoi, E s'ei non t'ama, il vedrai tosto in foco, Se ancor nol vuoi. Vienne pur ora, e sciogli a me la vita D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando Che a me compiuto sia compj, e m'aita meco pugnando. »

L'inno, composizione in onore di una divinità, recitata davanti alla sua statua in quanto considerata sua incarnazione terrena, è da dividersi in tre parti.

La prima parte, epìklesis, nella quale la poetessa invoca la divinità ed esprime le sue principali invocazioni utilizzando l'imperativo e forme esortative.

La seconda parte, omphalòs, la parte narrativa dell'inno, in cui la divinità viene presentata nel contesto di un'azione della quale è protagonista, di solito di carattere mitico.

La terza parte, eukè, la preghiera vera e propria, la cui metrica è simile alla epìclesis.

Questa composizione è caratterizzata inoltre dalla Ring Composition, in quanto comincia e termina con l'invocazione alla divinità

3 commenti:

deleted ha detto...

Interessante questa storia Senza..cerco di immaginare come era la vita in quei tempi. Beh per la gente aristocratica non tanto male lol
Comunque, il bello e' che in tre mila anni,e certo anche ddi piu', la vita non e' cambiata molto nel senso di " feelings e emotions. "

The Best ha detto...

Maggie i greci sono i precursori della nostra cultura, ancora oggi nelle scienze e nelle arti quello che diciamo noi moderni lo abbiamo imparato da loro nei concetti fondamentali

The Best ha detto...

grazie Senza bella pagina da consultare

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