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martedì 31 marzo 2009

"Prendiamoci un caffè". E’ forse l’esortazione collettiva più frequente a Napoli, motivo d’aggregazione e distensione quotidiana, al lavoro come nel tempo libero. La bevanda nera è senza dubbio il pretesto per una chiacchierata in leggerezza, e viceversa le chiacchierata pretesto per un piacevole caffè. A Napoli il caffè è un rito che è pure business. Una tradizione talmente salda da aver consacrato in Italia e nel mondo “l’espresso napoletano”; un rito che affonda le sue radici nel 1700 quando nell’antica capitale duosicula si beveva almeno una tazzina al giorno. Di qui un passo fondamentale nella storia del caffè a Napoli: l’invenzione nel 1800 della “caffettiera napoletana” che alternava il metodo di preparazione per decozione alla turca al metodo di infusione alla veneziana, con un sistema a doppio filtro. Si passò poi all’adozione in larga scala della “macchina per espresso” nel 1900 che era molto difficile da maneggiare, ma di cui i napoletani divennero subito abili maestri. Ma perché chiunque metta piede a Napoli resta attratto dalla “tazzulella”? Il segreto della miscela napoletana è racchiuso nella particolare tostatura, che conferisce alla miscela una più scura colorazione rispetto alle altre regioni italiane. Si dice del caffè nostrano che é cotto “al punto giusto”. Ciò significa che è prestata una grande attenzione durante il processo di torrefazione che, se fosse solo di poco più lunga, causerebbe la bruciatura della miscela stessa. Tale tostatura particolare, dopo qualche giorno di riposo, esalta gli oli essenziali e contribuisce ad una migliore estrazione degli aromi; tutto questo finisce col conferire il caratteristico gusto al caffè napoletano. Altro punto a favore dell’espresso di casa nostra sta nel fatto che è più salutare di qualsiasi altra preparazione del caffè poiché l’estrazione di caffeina, che è in relazione al tempo di esposizione all’acqua calda, è minima. Ciò significa che, contrariamente a quanto pensano in molti, un caffè ristretto alla napoletana è molto più salutare di un caffè lungo che, oltre ad avere un sapore ed una gustabilità decisamente discutibili, è anche più carico di caffeina. Per storia e radicamento, l’unica tradizione del caffè in Italia che può affiancarsi alla napoletana è quella di Trieste laddove pure il caffè è rito e tradizione. Ma senza nulla togliere al pur forte rapporto tra la città giuliana e il caffé, pure la miscela “triestina” non conserva in sé le caratteristiche di tostatura della napoletana. Inoltre, è connotato da un più elevato grado di dolcezza che, se per alcuni profani può rappresentare un vantaggio, per i veri intenditori del caffè non è altro che un cospicuo fattore che fa preferire l’espresso napoletano. Attorno al caffè a Napoli ruotano riti e aneddoti. Ad esempio è di regola qui bere il caffè con le “5 C”, ovvero le cinque C iniziali della frase “comme ca..o coce chistu café”. Ma scalda più il cuore che il palato la ritualità del caffè pagato, una volta molto più frequente, secondo il quale sia tradizione locale pagare un caffè non ancora consumato a beneficio di chi non se lo possa permettere. Una grande lezione di solidarietà da parte di un popolo spesso sui giornali per la cronaca nera che non per quello che ha dato alla storia e alla cultura del paese. Come non ricordare, infine, l’ispirazione che la “tazzulella” ha offerto ai cantori di Napoli e le tante canzoni partenopee che hanno come protagonista il caffè, a testimonianza di un legame indissolubile tra la città e il suo “oro nero”.

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